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Civiltà a quattro ruote

Come la diffusione dell’automobile ha cambiato la nostra vita. Da Una Città, mensile di Forlì.

Le auto ormai hanno riempito completamente non solo le città e le campagne, ma anche la nostra vita e il nostro orizzonte sociale. La motorizzazione privata, l’auto, è un tabù mentale per molte persone e quando si prospetta l’ipotesi di una vita senza disporre di un’auto privata vengono alla luce delle resistenze profondissime. Molte persone anche di ampie vedute, con una dimensione utopica quando si parla di altri aspetti della vita, non riescono a immaginarsi una vita senza automobili. (…)

E’ un fatto che il panorama urbano, e ormai anche quello della campagna, è contrassegnato in maniera totale dalla presenza delle automobili, al punto che raramente si riesce ad avere anche solo l’immagine, non dico la realtà, di una piazza, di una via, di un palazzo storico non deturpata dalla presenza delle auto. Ma il senso più colpito è, ovviamente, l’udito: ormai il rumore del traffico è permanente, notte e giorno. Noi ci abbiamo fatto l’abitudine e non ci riflettiamo a sufficienza, ma sia di giorno che di notte il nostro udito è continuamente disturbato, intasato, dal rumore del traffico.

Tutti questi cambiamenti investono la nostra vita fin da bambini. L’esistenza dei bambini è stata devastata dalla presenza delle automobili. I bambini non solo non hanno più la strada, ma non hanno più neanche i giardini e i parchi dove andare, perché, progressivamente, le automobili, per esigenze di parcheggio, hanno invaso anche gli spazi che una volta erano adibiti a verde, i cortili delle case, i viali, i cortili delle scuole. Per di più le auto rappresentano un pericolo per la loro incolumità: i bambini sono costretti a vivere in casa, e questo vuol dire una più ridotta capacità di socializzare, di entrare in contatto con il mondo e con il prossimo.

Nell’adolescenza il contatto con le automobili - non più come vittime del traffico, ma come protagonisti - è dato dalla possibilità di guidarle, che è ormai diventato il rito di iniziazione fondamentale della nostra civiltà. L’accesso all’età adulta, infatti, non è più segnato dalla maturazione sessuale, dall’inizio dei rapporti di lavoro, ma dall’accesso alla guida. C’è tutta una serie di riti di iniziazione, come le sfide alla velocità, l’andata e il ritorno da discoteche irraggiungibili senza auto, che hanno nelle automobili il loro strumento fondamentale. Questa identificazione fra adolescenti e automobile è così profonda che l’automobile è diventato il principale strumento con cui gli adolescenti sfidano la morte per mettersi in qualche modo "alla prova", o che usano per suicidarsi.

Dopo l’adolescenza viene la vita adulta, caratterizzata dalla vita produttiva e familiare. Sempre più l’automobile è diventata il simbolo della condizione familiare. Vorrei far notare che quando uno ricostruisce la propria vita nell’età adulta uno degli elementi di riferimento per temporizzarla è l’auto che ha posseduto: "Quando avevamo la 500..., quando avevamo la R4...". Anche se non ricorda che cosa ha fatto di anno in anno, sicuramente riesce a ricordarsi i periodi della sua vita a seconda della macchina che ha avuto.

Esistono precise regole di spartizione delle auto a disposizione di un nucleo familiare, che riflettono la gerarchia che si viene a instaurare al suo interno. L’auto è fondamentalmente del capofamiglia; se la moglie o i figli sono emancipati economicamente possono averne altre, oppure possono, per le loro necessità, avere accesso all’auto del capofamiglia a seconda dello status che viene loro riconosciuto in casa.

La vecchiaia, infine, comincia quando le persone non sono più in grado di muoversi autonomamente perché non sono più in grado di guidare, con la rottura drammatica che ciò comporta per la loro esistenza; perché vuol dire che dipendono da altri anche per necessità elementari come andare a trovare i propri parenti o fare la spesa.

Infine la morte. Intanto si muore molto per incidenti stradali; è una banalità che va ricordata. Ma va ricordato soprattutto che nelle città moderne non si fanno più i cortei funebri, perché intralcerebbero il traffico. I funerali sono cortei di macchine che accompagnano un’altra macchina. (…)

Il risvolto sociale ed economico di questa è anzitutto determinato dal fatto che l’uso dell’automobile ha un costo crescente rispetto al livello delle retribuzioni e dei redditi. Per molti utenti, infatti, se si mettono insieme i costi dell’automobile, della manutenzione e della benzina, le tasse per alimentare il sistema delle automobili, cioè strade, parcheggi e quant’altro, ci si avvicina ormai alla metà del reddito. A ciò vanno aggiunti i costi degli interventi necessari per contrastare il degrado ambientale provocato dalle automobili.

Dal punto di vista economico l’automobile attiva una quota rilevante, che non dovrebbe discostarsi molto dal 30% del prodotto interno lordo, mentre dal punto di vista della produzione l’automobile ha determinato l’evoluzione degli assetti produttivi. (…)

Molte trasformazioni sociali verificatesi negli ultimi anni possono essere meglio comprese se le guardiamo tenendo presente le conseguenze dell’uso dell’automobile. Prendiamo, per esempio, le borgate di Roma, che sono il fenomeno più vistoso di questo cambiamento, anche dal punto di vista elettorale: roccaforti della sinistra negli anni ’70, oggi sono un serbatoio di voti per Fini. Se andiamo a vedere come sono fatte fisicamente le borgate, capiamo che lì c’è stato - a causa dello sviluppo del traffico automobilistico, dell’isolamento in cui si ritrovano gli abitanti di questi insediamenti rispetto ai quartieri centrali dove si svolge la vita culturale diurna e notturna della città, e per l’impossibilità di usare il territorio come luogo di incontro, di crescita e di maturazione - uno sconvolgimento totale dei modi di vita. Per i giovani di queste aree non esiste altra possibilità di socializzazione che il muoversi collettivamente per spedizioni in discoteca, alle partite di calcio o cose del genere. Questa scarsa o mancata socializzazione è sostanzialmente determinata dal traffico. La gente è destinata a incontrarsi, a confrontarsi, a crescere, esclusivamente dentro il traffico e non su un territorio di cui possa sentirsi in qualche maniera parte; o, di converso, è costretta a rifugiarsi davanti alla televisione, con le trasformazioni culturali e politiche che abbiamo visto in questi anni.

Che il traffico automobilistico e la diffusione delle automobili sia un elemento di degrado dell’ambiente va da sé, che abbia devastato centri storici e città che erano stati pensate, progettate, costruite per tutt’altro tipo di mobilità, anche; ma la cosa più grave è il modo in cui sono costruite le periferie. L’esistenza della motorizzazione automobilistica privata è un a-priori così radicato che l’urbanista, anche quando fa i piani regolatori più accorti, non si pone più il problema di come la gente può arrivare in periferia o spostarsi da lì. Si è così sviluppata, per lo meno nelle zone di pianura intorno alle principali concentrazioni urbane, una continuità tra il tessuto urbano e la campagna, che ha come presupposto il fatto che per vivere, o sopravvivere, ci vuole l’automobile. (…)

C’è una differenza fondamentale fra la motorizzazione privata e il mezzo pubblico, anche dal punto di vista di un’analisi economica che adotti parametri strettamente capitalistici o di mercato. La differenza è data sostanzialmente dal fatto che l’automobile privata è un investimento altissimamente improduttivo per varie ragioni, tutte già analizzate dai tecnici. L’auto privata è antieconomica innanzitutto perché ha un rapporto di conversione bassissimo, vicino al 5%, dell’energia in lavoro. Il mio amico Giovanni Damiani chiama le automobili "stufe semoventi", proprio perché il principale effetto che hanno è quello di produrre calore (e quindi di riscaldare l’ambiente) e non moto. Ma, al di là di questo, l’automobile è anche un investimento improduttivo perché la maggior parte del tempo sta ferma: l’utilizzo medio di un’automobile, anche da parte di un utente che la usi molto, non supera mediamente le 2-3 ore al giorno, mentre per la maggior parte della gente è di poco superiore ad un’ora al giorno. Qualsiasi capitalista che utilizzasse i propri impianti per un’ora al giorno sarebbe giudicato pazzo e così uno stato che investisse in infrastrutture utilizzate esclusivamente per 1/24° della loro capacità produttiva. Fra i costi che rendono assolutamente pazzesco l’investimento nella macchina privata c’è poi anche il fatto che le auto, che hanno la possibilità di trasportare 4-5 persone, viaggiano mediamente con un carico di una, due persone e quindi vengono utilizzate, oltre che per 1/24° del tempo, anche per 1/4° della loro capacità di trasporto, a parità di consumo. Inoltre l’automobile privata, proprio per la congestione del traffico che provoca, è un investimento che riduce la sua produttività con il crescere dell’investimento stesso: cioè, più macchine si mettono in circolazione, più rallenta la velocità di circolazione; più se ne riduce il rendimento, se lo si calcola non in ore di utilizzazione, ma in spostamenti effettivi.

Infine, nella prospettiva che nessuna soluzione alternativa venga perseguita, l’ideologia oggi prevalente dell’indefinita espansione dei mercati dovrebbe prevedere che progressivamente vengano motorizzati con veicoli privati 6 miliardi di uomini; gli impatti ambientali che una prospettiva del genere provocherebbe sono tali che, prudentemente, nessuno si misura con questo argomento, cercando di parlarne il meno possibile. Tuttavia vale la pena ricordare che qualsiasi prospettiva di avvicinamento dei nostri standard di vita con quelli del Terzo Mondo non riguarda semplicemente il reddito calcolato in valori monetari, ma riguarda anzitutto le tipologie dei consumi, e in essi l’automobile occupa un posto assolutamente centrale.
Quindi, o la perequazione viene perseguita cercando di motorizzare tutta l’umanità - cioè i 6 miliardi di uomini che siamo adesso, o i 10 del 2020, o i 40 miliardi che la Terra potrebbe ospitare secondo il papa, che non ha mai spiegato se avranno tutti un’automobile a testa -, oppure, ed è la soluzione che penso debba essere praticata, rinunciando gradualmente e progressivamente alla motorizzazione privata senza rinunciare ai benefici che questa ha portato.

Viene spesso sottolineato che la differenza fra il disporre di un’automobile e l’usare un mezzo pubblico è che l’automobile ti porta dove vuoi permettendoti un’agibilità molto maggiore di quella dei servizi pubblici, che seguono dei percorsi obbligati. In realtà è falso che l’automobile ti porti dove vuoi. E’ vero che per prendere un tram dobbiamo andare alla fermata per poi essere sbarcati in un punto che non coincide con quello dove dobbiamo andare; ma la stessa cosa succede ormai anche con l’auto, perché, almeno nei centri urbani maggiori, l’abbiamo sicuramente posteggiata lontano da dove risiediamo e troveremo un posteggio lontano da dove ci dobbiamo recare. Così ai tempi e al disagio dello spostamento in un traffico congestionato vanno aggiunti i tempi e il disagio della ricerca di un parcheggio per poi raggiungere ugualmente a piedi il punto di destinazione.

Rispetto a tutto questo quali soluzioni si possono prospettare? Anzitutto, va da sé, il potenziamento del trasporto pubblico, sia urbano che extraurbano. Ma, mentre per il trasporto extra urbano si parla soprattutto di treni, quindi di mezzi che corrono su una sede propria, per la mobilità urbana - a parte le metropolitane, che ormai hanno raggiunto dei costi di costruzione proibitivi - il problema si mangia la coda. I mezzi pubblici devono viaggiare sulla stessa sede in cui viaggiano i mezzi privati e per sostituire l’auto privata ci vorrebbero più mezzi pubblici con passaggi più frequenti, ma questi non possono viaggiare più velocemente e funzionare meglio fino a che le sedi stradali non saranno liberate. Quindi non si può potenziare il trasporto pubblico fin quando non si sarà liberata la sede stradale da una parte del trasporto privato e contemporaneamente non si può liberare questa quota perché non esiste ancora il mezzo per sostituirla.

In molte città, per esempio, la prospettiva di cominciare a ridurre il traffico privato, per lo meno nei centri storici, sta prendendo la strada di far pagare una tassa per l’accesso alla città, oppure per posteggiare sulla sede stradale dentro una determinata cinta urbana, e questo, come ognuno può capire, avrà come effetto di far salire il costo d’uso dell’automobile a cifre astronomiche. A Torino, che sta introducendo con molta gradualità questa strategia, si calcola che l’abbonamento mensile a un posto macchina sulla strada adiacente o antistante alla casa di residenza costerà sui 70 euro al mese, mentre il costo dei posteggi saltuari sarà anche maggiore: non inferiore ai 10 euro al giorno. A questa impasse una prima soluzione (parziale, sicuramente non alternativa né al mezzo pubblico né al mezzo privato) è quella a cui ho lavorato insieme con Alberto Paini nel corso dell’ultimo anno.

L’idea è quella di un taxi collettivo con prenotazione telefonica e con un sistema di gestione computerizzato che permetta di inserire, con piccole variazioni di itinerari già in corso, nuovi percorsi, mano a mano che questi vengono prenotati: scegliendo, con un software abbastanza sofisticato, il veicolo che di volta in volta si trova nella posizione ideale, tenendo conto del suo percorso, per andare a raccogliere il nuovo utente nel punto da lui richiesto. Rispetto al sistema normale di taxi le caratteristiche fondamentali di questa soluzione sono due: la prima è che ci si sale in molti, non come una comitiva già formata, ma come persone che non si conoscono. Da questo punto di vista questo progetto non si differenzia molto dal servizio di taxi di molte città del Terzo Mondo, dove il taxi è collettivo per definizione e finché non è stracolmo continua a raccogliere gente; la seconda caratteristica è che chi chiama il taxi deve segnalare non solo il luogo di partenza ma anche il luogo di destinazione. Per l’utente il costo potrebbe variare da 1,5 a 2,5 euro per spostamento: quindi un costo intermedio fra quello del trasporto pubblico e quello di un taxi individuale tradizionale: decisamente inferiore a quello della motorizzazione privata, se si considera l’acquisto della macchina, il suo mantenimento, i costi di parcheggio, il carburante, eccetera.

Questo stesso sistema si può utilizzare anche per trasporti di merci e quindi potrebbe servire per fare la spesa col telefono. Il problema è quali siano le condizioni che permettano ad ognuno, senza avere svantaggi troppo vistosi, di poter rinunciare all’uso dell’automobile. E ancora: in Francia stanno sperimentando macchine elettriche che prelevi in uno dei vari posteggi distribuiti nella città, usi per un tempo determinato e paghi per il tempo che l’hai tenuta.

Un altro sistema è il car-pooling, sperimentato in alcune città tedesche. Qui 5-10 nuclei familiari hanno un’auto in comune e la usano singolarmente solo in caso di particolari necessità, non per gli spostamenti quotidiani, oppure c’è un piccolo parco-macchine di quartiere che, dopo l’uso, vanno depositate in un apposito parcheggio e quando uno deve fare degli spostamenti, una vacanza, eccetera, si prenota. Anche l’affitto della macchina per fascie orarie permetterebbe di fare delle tariffe particolarmente basse per chi la usasse soltanto nelle ore di bassa domanda, quelle notturne, magari riportandola la mattina, prima che cominci il periodo di maggiore richiesta.

L’ultimo problema è quello delle vacanze. In alcuni casi, disporre della macchina durante le vacanze è effettivamente un vantaggio non sostituibile dal mezzo pubblico, ma anche a questa esigenza si può rispondere con sistemi di "treni più auto" e con sistemi di noleggio. La condizione perché questo sia realizzabile è che ci sia lo scaglionamento delle ferie, perché se continuiamo ad avere le ferie tutti quanti in agosto dovrebbe esserci per chi va in vacanza un parco macchine grosso modo equivalente a quello di oggi.

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