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QT n. 2, febbraio 2014 Monitor: Libri

Viva il Re! Giorgio Napolitano, il presidente che trovò una repubblica e ne fece una monarchia

Il re ex-comunista delle “larghe intese”. Marco Travaglio, Trento, Chiarelettere, 2013, pp. 627, € 16,90.

Viva il Re! Giorgio Napolitano, il presidente che trovò una repubblica e ne fece una monarchia. Trento, Chiarelettere, 2013, pp. 627, € 16,90.

A suo tempo non mi ero accorto di quanto il presidente della repubblica Napolitano avesse reso difficile la vita del secondo governo Prodi. Ma i passi relativi dell’ultimo libro di Travaglio “Viva il Re!”, basati su colloqui allora avuti col ministro Padoa-Schioppa e su un diario che lo stesso stendeva giorno per giorno, sono illuminanti. Prodi era partito già dall’inizio, nel 2006, con una maggioranza risicata, e subito perde altri pezzi (Berlusconi oggi è inquisito anche per aver comprato parlamentari della maggioranza, come il dipietrista De Gregorio, che dichiara di aver ricevuto 3 milioni). Napolitano si comporta in modo che Padoa-Schioppa definisce da “pompiere incendiario”: si fa portavoce di tutte le critiche al governo, ostacola l’uso della fiducia (come invece poi non farà né per Berlusconi, né per Monti, né per Letta jr) e quando Prodi va sotto sulla politica estera, chiede preventivamente numeri certi al senato (borbottando anche per il conteggio nella maggioranza dei senatori a vita). Rivela Travaglio: “Nessuno - a parte chi gli parla in privato - sa che il presidente sta segretamente lavorando con personali ‘esplorazioni’ a un’altra maggioranza, al momento invano. Quale maggioranza? Il solito inciucio di larghe - o almeno più larghe - intese. Una posizione che Padoa-Schioppa definisce ‘inquietante’”. Quando poi Prodi cadrà davvero per il cambio di casacca di Mastella e Dini, solo la volontà di Prodi di parlamentarizzare la crisi, andando a farsi abbattere in senato, davanti a tutti gli italiani, brucerà striscianti tentativi di proporre fin da allora altre maggioranze per via presidenziale. Travaglio commenta: “Visto poi quello che il presidente sarà capace di fare e di dire per puntellare il terzo governo Berlusconi e soprattutto quelli dei ‘suoi’ Monti e Letta, non c’è dubbio che Prodi non è caduto solo per i numeri risicati al Senato, per le campagne acquisti del Caimano e per i logoramenti del nuovo Pd di Veltroni. Ma anche per il mancato appoggio (per non dire di peggio) del Quirinale”.

È davvero il passo cruciale del libro che Travaglio dedica a Napolitano, che non è una biografia. Di biografie - dice l’autore - “ce ne sono già fin troppe, una se l’è addirittura scritta lui. Questo è ciò che manca nelle altre”.

Travaglio - che piaccia o no - è un fuoriclasse del giornalismo italiano: tignoso e pignolo nella ricostruzione dei fatti sia nei loro aspetti pubblici che nei retroscena, e capace di tessere il filo del senso recondito degli eventi, collegando episodi e fatterelli, dichiarazioni ed intrecci, usandoli poi in modo illuminante, e questo instant-book ne è un esempio monumentale. Oltre 600 pagine per ricostruire minuziosamente gli eventi politici italiani dal secondo governo Prodi alla lunga estate 2013 - quella degli attacchi alla procura di Palermo per la richiesta di sentire il presidente sulla trattativa stato/mafia e del tormentone sulla grazia a Berlusconi - raccontata minutamente fino a metà novembre (poi bisognava chiudere il libro per farlo arrivare nelle librerie per natale). Il filo conduttore - quello che manca nelle biografie ufficiali - è la messa in luce dell’antica propensione di Napolitano per la formula politica delle “larghe intese” (che trova un precedente nella conduzione dalemiana della bicamerale per le riforme degli anni ‘90), e per la funzionale operazione di trasformazione dall’interno - forzandone lo spirito - della nostra repubblica parlamentare per cavarne fuori una presidenziale, che le larghe intese le imponga, visto che gli elettori hanno dimostrato di non gradire.

Travaglio si dedica ai fatti, non si pone il problema di scavare per fornirne una interpretazione, non fa parte del suo mestiere. Ma certo a noi lettori, chiuso il libro, il problema si pone, eccome! Ci chiediamo cosa mai abbia fatto, del comunista dogmatico che nel 1956, dalla tribuna dell’VIII congresso del PCI, esaltava la sanguinosa repressione sovietica in Ungheria, il presidente - stizzoso e allergico alle critiche - della ‘pacificazione’, dei ‘moniti’ alla magistratura, e della riforma della giustizia tirata fuori quando serve a Berlusconi. Io mi sono detto che, tenendo presente lo sfondo della sempre minor autonomia nazionale (quello della lettera-dictat della BCE all’Italia del 2011), la formazione comunista di Napolitano forse c’entra.

A un’Italia che dagli anni ‘90 di Tangentopoli preme per un repulisti (Renzi, in casa sua, la chiamerà rottamazione), per una legalità post-guerra fredda senza zone d’ombra, per un rinnovo dei metodi di sottogoverno, si contrappone un ceto politico tradizionale arroccato nella vita partitica e nelle sue degenerazioni.

Ma Napolitano, che è partito dal partito unico, arriva al massimo alla democrazia ‘partitica’ dei confronti fra partiti diversi, vivendo come una controindicazione gli elettori reali, che pretendono di fare scelte alternative, com’è quella che - sulla carta - nel febbraio 2013 emargina Berlusconi, rendendo possibile una maggioranza senza quello che per Napolitano è “leader incontrastato di una formazione politica di innegabile importanza”.

Ma il Presidente-Re la sua guerra l’ha già persa, perché Berlusca si rivela irriducibile a qualunque cosa diversa dal proprio ombelico (per non parlar d’altro).

Forse è il caso di girare pagina: chi può fare un’altra maggioranza si dia una mossa!.

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