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I consejos fra clientelismo e conflitti urbani

Da Cumanà (Venezuela) una controversa esperienza di democrazia partecipata

Jacopo Zannini
Cumanà

Cinque pneumatici bruciano in mezzo all’Avenida Carupano, bloccando una delle arterie principali che collega Cumanà, la capitale dello Stato di Sucre, con altri piccoli centri. Mentre le macchine bloccate in fila suonano all’impazzata, proprio davanti al blocco stradale, in prima fila c’è anche una mamma con un passeggino. In un primo momento resto di sasso, pensando a come si possa portare nel bel mezzo di un’azione così rischiosa un bambino di pochi mesi. Poi capisco che è un sintomo del livello di coinvolgimento degli abitanti in queste proteste nelle città venezuelane.

Sono le sette di sera e ho da poco assistito all’intensa e partecipata assemblea cittadina del consejo comunal “La Marina” nella parrocchia di Valentin Valiente, una della zone più pericolose e violente di Cumanà. Nel loro incontro mensile, i componenti dell’assemblea cittadina hanno votato i progetti presentati dai voceros (i rappresentati eletti in assemblea) del consejo comunal. La manifestazione che sta bloccando la strada è stata decisa per protestare contro la mancata riorganizzazione della rete elettrica della zona. Il consejo comunal “La Marina” chiede da tempo che sia messo in pratica un progetto elaborato da un tecnico contattato direttamente dai cittadini, ma l’agenzia pubblica che si occupa della rete elettrica urbana non mette in atto la decisione. Per gli abitanti della zona, la situazione rimane ancora pericolosa. “È da mesi che chiediamo che il progetto presentato alle autorità venga realizzato, pur avendo tutte le carte in regola! Lo abbiamo fatto stilare da un tecnico con i fondi messi a disposizione del consejo, ma una volta che abbiamo presentato il progetto all’ente competente, è rimasto in un cassetto. Non si capisce perché!”.

Sostenitori del presidente Chavez

In mezzo all’Avenida Carupano la strada è bloccata da più di un’ora. I cittadini presenti in strada scandiscono a gran voce “Quieremos luz, quieremos luz” (Vogliamo la luce, vogliamo la luce). Alex el Chito, uno dei voceros più conosciuti della zona, mi spiega così le ragioni della protesta: “Resteremo qui finché qualcuno non ci assicurerà che domani avremo un confronto con uno dei dirigenti della municipalità. Non si può andare avanti così. La nostra zona ha un sistema di elettricità scadente che continua a saltare, perché molti si connettono illegalmente e provocano dei cortocircuiti continui e pericolosi. Il nostro progetto intende riorganizzare la distribuzione dell’elettricità in modo che tutti possano averla e che nessuno si attacchi più illegalmente. Ma c’è qualcuno che lo ostacola, solo perché il nostro consejo non è partitico. Siamo tutte persone che sostengono il processo portato avanti dal presidente Hugo Chavez, ma non siamo dei militanti del suo partito, lo PSUV (Partido Socialista Unido de Venezuela). Molti di noi non hanno la tessera, e altri votano il PPT. Questo non piace ed è per questo che troviamo resistenze quando cerchiamo il dialogo con le autorità”.

Le parole di Alex el Chito mettono subito in evidenza il limite delle esperienze consigliari a Cumanà e il motivo per cui nascono conflitti e azioni di protesta, portate avanti anche da chi si riconosce nel chavismo.

Ma perché i consigli urbani, nati in seguito ad una legge del 2006 per favorire la partecipazione dei cittadini alla vita politica, si trasformano spesso in veri e propri movimenti sociali di protesta nelle città del Venezuela?

Secondo la legge, i consejos devono essere composti dalle famiglie che vivono nel territorio, da trenta a sessanta in ambito urbano, e si costituiscono con delle elezioni in cui si scelgono i portavoce (voceros). Allo stesso modo i gruppi di lavoro, i comite de trabajo, devono nascere in base alle necessità di ogni singolo quartiere o territorio; un altro organo, la controleria social, è preposto al controllo della trasparenza delle dinamiche interne al consejo; infine, il banco comunal gestisce i soldi dei finanziamenti che il consejo può ricevere per attuare o far attuare progetti e iniziative. Il “governo” del consejo è l’organo esecutivo, formato da tutti i voceros che rappresentano i vari sottocomitati. L’idea alla base dei consigli di comunità è quella di istituire delle assemblee pubbliche cittadine in cui fare emergere le necessità e i punti di vista di tutti gli abitanti. Chi vive sul territorio deve poter esprimere le proprie esigenze e i propri bisogni ai voceros, che devono agire come portavoce e rappresentanti e non come leader. L’assemblea cittadina, insomma, dovrebbe essere alla base di ogni decisione del consejo.

La teoria e la pratica

La rivolta del Caracazo (1989)

Tutto questo, purtroppo, rimane spesso solo teoria. Nonostante alcune realtà particolarmente virtuose, in molti casi dietro la facciata di un consejo democratico e partecipato si nascondono comitati che portano avanti pratiche clientelari, voto di scambio, appropriazione indebita dei fondi pubblici destinati alla comunità, oppure gruppi il cui unico scopo è mobilitare le comunità in funzione di supporto al PSUV di Chavez. Questi episodi non fanno altro che allontanare dalla partecipazione politica molti cittadini: nei quartieri popolari di Cumanà, molti abitanti si accontentano dell’assistenzialismo dello Stato o cercano di partecipare alla spartizione clientelare dei fondi pubblici.

Dall’altra parte, chi non accetta questa realtà, tenta di far valere i propri diritti e di mobilitare gli altri cittadini: la scelta del conflitto aperto diviene lo strumento per mettere i bastoni fra le ruote alla spartizione della rendita del petrolio chavista. Oltre che discutere e deliberare, alcuni gruppi di cittadini che si riconoscono nella filosofia del presidente si organizzano anche con collettivi anarchici o con gruppi politici dell’opposizione, producendo azioni simboliche collettive che assomigliano molto a quelle dei piqueteros argentini e a quelle del movimento altermondialista dell’ultimo decennio: blocchi stradali, occupazioni di edifici pubblici, manifestazioni di massa. Il carattere particolarmente interessante di queste iniziative è l’assenza di rivendicazioni partitiche dirette: l’obiettivo della lotta è l’ampliamento dei diritti per i soggetti che vivono nel territorio.

L’esperienza di Cumanà non è un caso isolato in Venezuela. Nel Paese circola ancora l’effervescenza popolare che ha caratterizzato gli ultimi venti anni. I semi gettati dalla rivolta del Caracazo nel 1989 (una grande protesta popolare contro le misure neoliberali del governo di Carlos Andres Perez repressa in un bagno di sangue) hanno germogliato lasciando in eredità ai venezuelani immaginari e pratiche di lotta sociale per una vera democrazia.